La medicina che guarisce
Lo sapete che George Washington morì per colpa di un mal di gola? Era il 1799 e fu trattato con un salasso; gli fu tolto circa il 40% del sangue e morì la sera stessa. In realtà gli storici discutono molto su quali siano state le cause della morte, probabilmente si trattava di una infezione batterica che ha portato al soffocamento, ma il salasso era una cura passe-partout, utilizzata per curare moltissime cose, che però potrebbe avere contribuito ad indebolire il suo corpo.
Storie di vampiri…ah no, erano sanguisughe
Il salasso, o emodiluizione, consisteva nel dissanguamento del paziente, utilizzando delle sanguisughe o tagliando delle vene (o entrambi), ed è stato praticato comunemente per migliaia di anni per combattere una serie di malattie o sintomi. Le teorie utilizzate per spiegarne l’efficacia sono cambiate nel corso dei secoli dalla Mesopotamia agli Stati Uniti d’America nel 1800, ma avevano a che fare con equilibri di liquidi interni al corpo umano, e le malattie che venivano trattate in questo modo andavano dalle infiammazioni, ai problemi al fegato, alla milza, cefalee e malattie febbrili, eccetera eccetera.
Tra le malattie curate con il salasso c’era la polmonite. Fino al diciannovesimo secolo si credeva infatti che la polmonite dipendesse da uno squilibrio di fluidi corporei, e si raccomandava di risolvere questo disequilibrio con il salasso che veniva praticato fino allo svenimento del paziente. Anzi lo svenimento del paziente era utilizzato proprio come indicazione che era stato tolto il quantitativo giusto di sangue.
Ora non so se voi siete mai svenuti, io l’ho fatto spesso nel mio periodo adolescenziale, e vi dico la verità non era proprio una cosa piacevole. E infatti gli stessi pazienti non erano particolarmente contenti e magari decidevano di seguire alcuni medici, come dire alternativi, che proponevano un metodo meno drastico, ossia il vomito (trattamento emetico) che in effetti possiamo essere d’accordo nel considerare mediamente meno spiacevole del salasso. Comunque di fatto di fronte all’evidenza si arrendevano tutti: 8 persone su 10 dopo la cura con il salasso guarivano dalla polmonite. Insomma la sua efficacia era sotto gli occhi di tutti, medici e pazienti, e questo ha contribuito a mantenerlo come metodo preferito per la cura della polmonite fino alla metà del 1800.
Finché è arrivato Joseph Dietl, un medico polacco, che ha deciso di andare a fondo al problema.
Cosa ha fatto il caro Joseph? Ha fatto una cosa che nessuno aveva fatto prima. Tra il 1842 e il 1846 Joseph Dietl ha preso 380 pazienti malati di polmonite e li ha divisi in 3 gruppi:
1) un gruppo è stato curato con il salasso
2) un gruppo è stato curato con emetici (vomito indotto)
3) un gruppo non è stato curato affatto
I risultati di questo esperimento colsero tutti di sorpresa. Il 20,4% dei pazienti del primo gruppo, quelli curati con il salasso, morirono; il 20,7% dei pazienti del secondo gruppo, curati con il vomito indotto, morirono; ma solo il 7.4% del terzo gruppo morì.
In pratica sia il salasso, sia il vomito non portavano nessun vantaggio, anzi indebolivano il corpo dei pazienti aumentando la probabilità che morissero.
Dopo questo studio pubblicato da Joseph Dietl la terapia del salasso è stata finalmente abbandonata per i casi di polmonite dopo diecimila anni di onorato servizio.
Ma come è possibile che nessuno prima di lui si fosse accorto di questa cosa?
Vediamo solo quello che vogliamo vedere
Il problema è che il genere umano ha la tendenza a vedere solo quello che vuole vedere, e si vogliono vedere più spesso le cose belle che quelle brutte. Inoltre i medici, in quanto essere umani, tendono a vedere quello che si aspettano di vedere: è quello che si chiama confirmation bias ossia la tendenza ad utilizzare qualsiasi nuova evidenza per confermare le nostre aspettative. Questo ha fatto sì che per migliaia di anni ci si concentrasse su quegli 8 guariti, invece che su quei 2 morti ogni 10.
E’ solo grazie al confronto con un campione di riferimento (che nel caso in questione è rappresentato dal terzo gruppo, quello non medicato) che si può dire se un certo intervento è veramente utile oppure no. E’ come chiedersi se un frutto è buono oppure no senza averne mai assaggiati prima. Tipo se vivete in Svezia e non avete mai assaggiato i fichi raccolti direttamente dall’albero, (magari mangiati insieme alla pizza bianca e al prosciutto crudo), potreste pensare che quelli del supermercato svedese, pagati a peso d’oro siano buonissimi. Anche perché vi piace pensare che la spesa non sia stata una grande fregatura, e allora vi convincete che abbiano un sapore meraviglioso (niente, scusate la digressione personale da storie di vita vera da emigrata in Svezia).
Ma funziona veramente?
Quello che Joseph Dietl ha fatto si può considerare il primo caso di metodo scientifico applicato alla medicina clinica e ha insegnato al mondo una lezione importante:
Qualsiasi consiglio o pratica medica basata sull’esperienza personale di una persona o di migliaia di persone, non è una prova sufficiente per renderla scientificamente valida
Le indagini di Dietl sono stati uno dei pochissimi studi condotti nel corso del 1800. Ci sono voluti ancora un centinaio di anni prima che la sperimentazione clinica degli effetti di un determinato trattamento abbia cominciato ad essere implementata su larga scala e a diventare dominante nello sviluppo della medicina moderna.
A volte si vede meglio se si è ciechi
La ricerca medica ha fatto moltissimi passi avanti rispetto al successo di Joseph Dietl, introducendo tecniche più sofisticate, ad esempio per la selezione del gruppo di pazienti o del gruppo di controllo, e per cercare di evitare qualsiasi tipo di bias inconsapevole da parte degli sperimentatori. Da questo punto di vista, una delle tecniche più usate è quella degli esperimenti fatti in cieco (ossia ai pazienti non viene detto se gli viene data una medicina o un placebo), o anche meglio in doppio cieco (ossia chi somministra la medicina non sa a quali pazienti viene data la medicina o il placebo, e non lo sanno nemmeno i pazienti). In pratica si mischiano i medicinali in modo casuale, avendo cura che chi li somministra non sa cosa sta dando e a chi lo sta dando, e quindi non può condizionare il risultato finale, sia che voglia farlo perché ha degli interessi in ballo sia che lo faccia inconsapevolmente, in quanto essere appartenente al genere umano.